COME OSSERVARE... ?
per fare dell'osservazione uno strumento di conoscenza
A dire il vero, non c'è osservazione che ricalchi in modo esatto e completo la realtà. D'altra parte, anche supponendo che ne esistano di questo tipo, il lavoro di osservazione sarebbe ancora tutto da cominciare. Sebbene, per esempio, la registrazione cinematografica risponda già ad una scelta spesso molto accurata: scelta della scena stessa, del momento, del punto di vista, ecc... è soltanto sul film, il cui merito è di rendere permanente una successione di dettagli che sarebbero sfuggiti allo spettatore più attento e sui quali diventa per lui agevole ritornare a volontà, che potrà cominciare il lavoro di osservazione diretta. Non c'e osservazione senza scelta ne senza una relazione, implicita o no. La scelta è imposta dai rapporti che possono esistere tra l'oggetto o l’avvenimento e le nostre aspettative, in altri termini il nostro desiderio, la nostra ipotesi o anche le nostre semplici abitudini mentali. Le sue ragioni possono essere coscienti o intenzionali, ma possono anche sfuggirci, perché si confondono prima di tutto con il nostro potere di formulazione mentale. Possiamo scegliere solo le circostanze a noi stessi comprensibili. E, per esaminarle, dobbiamo riportarle a qualche cosa che ci sia familiare o intelligibile, al quadro di riferimenti di cui ci serviamo, sia di proposito che senza saperlo.
La grande difficoltà dell'osservazione pura come strumento di conoscenza consiste nel fatto che facciamo ricorso ad un quadro di riferimento, nella maggior parte dei casi senza rendercene conto, tanto il suo uso è irragionevole, istintivo, indispensabile. Quanto sperimentiamo, il dispositivo stesso dell'esperienza opera la trasposizione del fatto nel sistema che permetterà di interpretarlo. Se si tratta d’ osservazione, la formulazione che diamo ai fatti risponde spesso ai nostri più soggettivi rapporti con la realtà, alle nozioni pratiche che usiamo per noi stessi nella vita di tutti i giorni. Per questo motivo è molto difficile osservare il bambino senza attribuirgli qualcosa dei nostri sentimenti o delle nostre intenzioni. [...] Ogni sforzo di conoscenza e d’interpretazione scientifica si è sempre basato sul sostituire ciò che è referenza istintiva o egocentrica con un altro sistema i cui termini siano oggettivamente definiti.
Henri Wallon: L'Evoluzione Psicologica del Bambino
A. Colin, Paris, 1941
Non esiste un fatto in sé, un fatto è sempre più o meno rielaborato da colui che lo osserva. Ma può corrispondere più a degli stereotipi, a delle abitudini, piuttosto che essere chiaramente individuato attraverso le caratteristiche fornite dall'esperienza. Così una quantità indefinita di fatti può non valere quanto un fatto unico ma significativo. In realtà, un fatto è interessante nella misura in cui è determinato e non può esserlo che attraverso il rapporto che ha con qualcosa che lo superi. Ma è lui stesso un insieme con una sua fisionomia, una sua definizione e che si ricollega per mezzo dei tratti che la compongono ad altri insiemi più elementari. Ne risulta non soltanto che il confrontare un fatto con tutti i sistemi ai quali può essere relazionato vuol dire trattarlo secondo natura, ma anche che il miglior osservatore è colui che saprà utilizzare il maggior numero di sistemi, sia per individuarlo che per spiegarlo.
Henry Wallon, Le Origini del Carattere nel Bambino
PUF, Paris, 1949.
Si legga anche: TEXTE INTERMEDIAIRE " d'après H. Wallon "